domenica 27 novembre 2016

Renzi Taranto e il governatore " MACAROONE" - Lettera aperta al presidente della Regione Puglia

Caro Presidente Emiliano
non ci conosciamo e dunque ti prego di scusarmi se mi permetto di scriverti ma, dopo aver letto i giornali, non ho potuto farne a meno.

Mi riferisco alla notizia "Taranto, la Camera cancella 50 milioni per le cure antinquinamento" riferita anche da La repubblica-Bari.
"È scontro totale, scrive il giornale, fra governo e Regione Puglia sulla bocciatura della deroga al decreto ministeriale 70 per Taranto. Il decreto è quello che prevede tagli agli ospedali pugliesi tradotti nel piano di riordino di prossima approvazione. Da mesi si chiedeva di risparmiare Taranto dai tagli concedendo alla città di spendere 50 milioni (già presenti nel bilancio regionale e non da stanziare ex novo) per assumere 1.800 tra medici e infermieri e acquistare macchinari diagnostici, alla luce dell'emergenza sanitaria che colpisce la città ionica all'ombra dell'Ilva.
A cominciare dai bambini.

La bocciatura (oltre alla deroga non sono passati emendamenti che avrebbero statalizzato il Paisiello e istituito l'Agenzia portuale, dando sicurezza occupazionale a 500 lavoratori del Tct al porto di Taranto) però rimette tutto in discussione, sposta l'esame della proposta ai lavori del Senato e quindi alle settimane successive al 4 dicembre, data del referendum costituzionale. Non a caso la ministra della Sanità, Beatrice Lorenzin, dopo un comunicato congiunto in cui i deputati Pd pugliesi chiedevano una risposta del governo, ha ufficializzato un tavolo di lavoro dedicato alla situazione sanitaria tarantina per il 12 dicembre, una settimana dopo il referendum."

Ho letto anche che tu adesso sei arrabbiato e minacci fuoco e fiamme...vorresti addirittura organizzare una protesta davanti a Palazzo Chigi.

Capisco la tua arrabbiatura e solidarizzo con te e con la città di Taranto "a cominciare dai bambini" ma permettimi di farti riflettere su quanto sei stato "Macaroone" almeno così pare si dica a Bari(non sono pugliese e dunque potrei sbagliare).

Ma non lo sapevi che il governatore della Campania DeLuca ha riunito 300 sindaci ai quali ha chiesto di mobilitarsi offrendo "fritture di pesce" o "quello che cazzo vi pare" ma di portare i cittadini dei loro comuni a votare Si al referendum? E di prendere a modello il sindaco di Agropoli che di clientele se ne intende e porterà 4000 elettori su 8 mila a votare si?

La regione Campania, solo per coincidenza eh, ha avuto e avrà dal governo svariati milioni di euri e un emendamento che consente al presidente della Regione De Luca di essere nominato commissario alla sanità della Campania.

Caro Emiliano lo so che sei per il NO al referendum ma..che ti costava riunire non dico 300 ma solo 50 sindaci e chiedere loro di portare a votare SI i cittadini dei loro comuni magari offrendo una zuppa di pesce alla barese?
Magari avresti potuto avere, sempre per coincidenza eh, non solo i 50 milioni di euro ma persino essere nominato commissario alla sanità pugliese.
Forse mi sbaglio e mi scuso ancora per l'ardire ma in ogni caso ...buon lavoro Presidente.

mercoledì 9 novembre 2016

Donald Trump eletto Presidente USA - 3 brucianti sconfitte una grande vittoria e una... Certezza

La vittoria di Donald Trump, eletto a sorpresa Presidente degli #Usa, avrà bisogno di riflessioni e analisi approfondite sia da un punto di vista politico che culturale sul perché dell'affermazione di una figura così controversa e preoccupante, sui rischi e i pericoli di questa elezione ma, per il momento, vorrei limitarmi ad alcune prime immediate e brevi considerazioni su tre aspetti evidenti che balzano agli occhi.


La vittoria di #Trump mostra in maniera evidente:

la bruciante sconfitta dell'#establishment economico e finanziario americano.

La umiliante sconfitta della #Clinton che di quell'establishment era espressione lampante.

La grottesca sconfitta dei sondaggisti e di tutta la stampa e del sistema dei media Usa.

Infine ribadisce con forza una Certezza:

Nessun potere costituito, per quanto forte cinico e organizzato, può fermare la volontà di un popolo unito e determinato quando decide di ribellarsi al potere.

Viva la democrazia e viva il suffragio universale.

NB. queste sono considerazioni a caldo e di carattere generale che prescindono del tutto dal giudizio su Donald Trump. Il mio non è affatto positivo..anzi!

giovedì 3 novembre 2016

Ecco PERCHE' i giovani non trovano lavoro o... se lo trovano... NON possono che essere SOTTOPAGATI

Da una parte giovani operatori che volevano tenersi stretto il proprio lavoro, sia pure di 900-1.000 euro al mese. Dall’altra gli operatori di Tirana (studenti o giovani alla prima assunzione lavorativa, spesso provenienti dalla provincia) che parlano italiano tanto quanto i lavoratori al di là del mare e che soprattutto – in quelle condizioni, almeno per ora – non si sentono affatto sfruttati.

La riflessione proposta in questo articolo( che riporto di seguito) affronta uno dei più grossi problemi che i giovani italiani,e non solo, hanno di fronte quando si affacciano al mondo del lavoro. Porsi l'obiettivo di come risolvere questo problema e individuare gli strumenti per affrontarlo sposta completamente il terreno delle nostre priorità nella ricerca di un pensiero , una visione e un progetto alternativo e credibile al Pensiero e al sistema economico dominante. Ecco di seguito l'articolo in questione......
Buona Lettura

Per capire la crisi dei call center in Italia bisogna andare in Albania

(di Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore)
su la rivista Internazionale del 30 ottobre 2016

Prima o poi il punto di rottura doveva arrivare. Il colosso dei call center Almaviva annuncia l’esubero di 2.500 lavoratori tra Roma e Napoli, e gli stessi sindacati Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom stimano che “se non risolve la questione entro breve, nel giro di qualche mese ci saranno 70-80mila posti a rischio”.

Insomma la slavina del settore è dietro l’angolo, e il ministro dello sviluppo Carlo Calenda prova a correre ai ripari con la convocazione dei rappresentanti delle aziende committenti dei servizi di call center. Ma per capire come essa si è generata, bisogna decifrare lo schema che si è riprodotto su larga scala negli ultimi anni.

Da una parte si sono intensificate le aste al ribasso per la fornitura dei servizi outbound (chi chiama per proporre offerte e contratti) e inbound (chi riceve telefonate per ascoltare i reclami e risolvere problemi). Per cui i committenti (praticamente tutte le grandi aziende, italiane e non, che ricorrono ai call center per interloquire con i propri utenti) finiscono per strappare prezzi ben al di sotto dei livelli di retribuzione indicati dai contratti nazionali di lavoro. Dall’altra il meccanismo non è stato arginato per tempo, e a quel punto, quando i prezzi scendono sempre di più, la soluzione non è più la flessibilità o il trasferimento dei propri uffici da Roma o Milano in qualche città di provincia meridionale. L’unica soluzione plausibile è la delocalizzazione: chiudere in Italia e aprire in Albania.

I fattori della slavina
Perché poi proprio in Albania (e in misura minore in Romania), è evidente. L’Albania è un paese a poche decine di miglia da noi, sull’altra sponda dell’Adriatico, in cui si parla correntemente l’italiano e in cui le retribuzioni sono molto più basse, benché cresciute negli ultimi anni di risalita economica. Un lavoratore di call center a Tirana guadagna in media 300 euro, al massimo 500 euro al mese. E questo è un posto di lavoro infinitamente più ambito di altri.

Per capire cosa si agita alle spalle della vertenza Almaviva, è utile ricordare un’altra vertenza che ha riguardato un altro colosso dei call center, la multinazionale francese Teleperformance, un paio di anni fa, quando annunciò “di trasferire in Albania un’attività del back office di un importante committente legato al mondo dell’energia, di piano nazionale”, mettendo in quel caso a repentaglio i livelli occupazionali della grande sede di Taranto. Al di là della vertenza contrattuale, e delle strategie adottate in seguito dall’azienda, quella vicenda rivelò appieno il formarsi della slavina, e perché a questo formarsi contribuivano (e tuttora contribuiscono) più fattori.

In quel caso, da una parte c’era la sede di Taranto, che con i suoi tremila dipendenti costituisce un polmone occupazionale importantissimo in un’area che vive la crisi dell’Ilva e ha un esercito imponente di disoccupati e inoccupati (oltre centomila persone, secondo i sindacati). Dall’altra, la sede di Teleperformance Tirana, un palazzone sinistro che sorge nel centro della capitale albanese, alle spalle del Blok, l’ex cittadella del potere staliniano. Si tratta della più grande concentrazione di quei 25mila operatori di call center che, nel “paese di fronte”, lavorano per il mercato italiano, parlando per otto e più ore al giorno in perfetto italiano.

Possiamo offrire la vicinanza geografica dei nostri due paesi e costi di lavoro molto bassi

Tra Taranto e Tirana ci sono duecento chilometri in linea d’aria. In entrambe le sedi, a ridosso del confine dell’Unione europea, ci sono giovani operatori che ogni giorno parlano in italiano con clienti italiani, ascoltando reclami e offrendo promozioni.

Unica differenza: quelli di Tirana sono pagati meno della metà, eppure quei 300 euro al mese (che in alcuni casi, come detto, possono arrivare a 500) costituiscono una cifra ben più alta della retribuzione media di un dipendente pubblico. Per fare un confronto, un alto dirigente in un ministero non guadagna più di 900-1.000 euro al mese. Se questo è il piano inclinato che muove le delocalizzazioni, molto più complesso è il piano sociale e politico intorno alla loro realizzazione.

Perché, se da una parte ci sono i sindacati di categoria Cigl, Cisl e Uil che lamentano come pratiche del genere rendano poi “inevitabile” l’annuncio periodico di esuberi, dall’altra c’è un paese che vuole entrare nell’Unione europea e che per farlo chiede alle aziende occidentali (italiane e non solo) di intensificare la loro presenza in Albania. Lo stesso premier socialista Edi Rama lo ha più volte ribadito:
Quello che abbiamo da offrire è la vicinanza geografica dei nostri due paesi e costi di lavoro molto bassi per le vostre imprese”. Non solo.

A questo va aggiunto l’assenza di sindacati combattivi e una tassazione al 15 per cento, esattamente la soglia che in Italia costituirebbe il sogno fiscale evocato da Matteo Salvini.

Arginare i contratti al ribasso
In quel caso, così come oggi, la frattura tra lavoratori era netta. Da una parte c’erano gli operatori di Taranto, che volevano tenersi stretto il proprio lavoro, sia pure di 900-1.000 euro al mese. Dall’altra gli operatori di Tirana (studenti o giovani alla prima assunzione lavorativa, spesso provenienti dalla provincia) che parlano italiano tanto quanto i lavoratori al di là del mare e che soprattutto – in quelle condizioni, almeno per ora – non si sentono affatto sfruttati. Nel mezzo si sta costruendo un nuovo scenario adriatico, con aspettative e ambizioni diverse, non solo intorno al mondo del lavoro.

Per questo, il punto, ben oltre la stessa pratica della delocalizzazione, e dei vantaggi economici che essa offre, è in realtà un altro. Valeva per il caso Teleperformance, vale per la slavina preannunciata dagli esuberi di Almaviva: come far parlare tra loro i lavoratori delle due sponde dell’Adriatico? È possibile pensare a una strategia sindacale, e politica, che includa i diritti e le richieste di entrambe le parti? È possibile parlare la stessa lingua?

È possibile, soprattutto, che da un comune riconoscersi tra lavoratori così simili e così distanti possa scaturire un argine alle aste al ribasso? In caso contrario, ogni sanzione varata dall’alto, ogni “tolleranza zero” evocata contro le delocalizzazioni, rischia di apparire un’arma spuntata.