domenica 27 novembre 2016

Renzi Taranto e il governatore " MACAROONE" - Lettera aperta al presidente della Regione Puglia

Caro Presidente Emiliano
non ci conosciamo e dunque ti prego di scusarmi se mi permetto di scriverti ma, dopo aver letto i giornali, non ho potuto farne a meno.

Mi riferisco alla notizia "Taranto, la Camera cancella 50 milioni per le cure antinquinamento" riferita anche da La repubblica-Bari.
"È scontro totale, scrive il giornale, fra governo e Regione Puglia sulla bocciatura della deroga al decreto ministeriale 70 per Taranto. Il decreto è quello che prevede tagli agli ospedali pugliesi tradotti nel piano di riordino di prossima approvazione. Da mesi si chiedeva di risparmiare Taranto dai tagli concedendo alla città di spendere 50 milioni (già presenti nel bilancio regionale e non da stanziare ex novo) per assumere 1.800 tra medici e infermieri e acquistare macchinari diagnostici, alla luce dell'emergenza sanitaria che colpisce la città ionica all'ombra dell'Ilva.
A cominciare dai bambini.

La bocciatura (oltre alla deroga non sono passati emendamenti che avrebbero statalizzato il Paisiello e istituito l'Agenzia portuale, dando sicurezza occupazionale a 500 lavoratori del Tct al porto di Taranto) però rimette tutto in discussione, sposta l'esame della proposta ai lavori del Senato e quindi alle settimane successive al 4 dicembre, data del referendum costituzionale. Non a caso la ministra della Sanità, Beatrice Lorenzin, dopo un comunicato congiunto in cui i deputati Pd pugliesi chiedevano una risposta del governo, ha ufficializzato un tavolo di lavoro dedicato alla situazione sanitaria tarantina per il 12 dicembre, una settimana dopo il referendum."

Ho letto anche che tu adesso sei arrabbiato e minacci fuoco e fiamme...vorresti addirittura organizzare una protesta davanti a Palazzo Chigi.

Capisco la tua arrabbiatura e solidarizzo con te e con la città di Taranto "a cominciare dai bambini" ma permettimi di farti riflettere su quanto sei stato "Macaroone" almeno così pare si dica a Bari(non sono pugliese e dunque potrei sbagliare).

Ma non lo sapevi che il governatore della Campania DeLuca ha riunito 300 sindaci ai quali ha chiesto di mobilitarsi offrendo "fritture di pesce" o "quello che cazzo vi pare" ma di portare i cittadini dei loro comuni a votare Si al referendum? E di prendere a modello il sindaco di Agropoli che di clientele se ne intende e porterà 4000 elettori su 8 mila a votare si?

La regione Campania, solo per coincidenza eh, ha avuto e avrà dal governo svariati milioni di euri e un emendamento che consente al presidente della Regione De Luca di essere nominato commissario alla sanità della Campania.

Caro Emiliano lo so che sei per il NO al referendum ma..che ti costava riunire non dico 300 ma solo 50 sindaci e chiedere loro di portare a votare SI i cittadini dei loro comuni magari offrendo una zuppa di pesce alla barese?
Magari avresti potuto avere, sempre per coincidenza eh, non solo i 50 milioni di euro ma persino essere nominato commissario alla sanità pugliese.
Forse mi sbaglio e mi scuso ancora per l'ardire ma in ogni caso ...buon lavoro Presidente.

mercoledì 9 novembre 2016

Donald Trump eletto Presidente USA - 3 brucianti sconfitte una grande vittoria e una... Certezza

La vittoria di Donald Trump, eletto a sorpresa Presidente degli #Usa, avrà bisogno di riflessioni e analisi approfondite sia da un punto di vista politico che culturale sul perché dell'affermazione di una figura così controversa e preoccupante, sui rischi e i pericoli di questa elezione ma, per il momento, vorrei limitarmi ad alcune prime immediate e brevi considerazioni su tre aspetti evidenti che balzano agli occhi.


La vittoria di #Trump mostra in maniera evidente:

la bruciante sconfitta dell'#establishment economico e finanziario americano.

La umiliante sconfitta della #Clinton che di quell'establishment era espressione lampante.

La grottesca sconfitta dei sondaggisti e di tutta la stampa e del sistema dei media Usa.

Infine ribadisce con forza una Certezza:

Nessun potere costituito, per quanto forte cinico e organizzato, può fermare la volontà di un popolo unito e determinato quando decide di ribellarsi al potere.

Viva la democrazia e viva il suffragio universale.

NB. queste sono considerazioni a caldo e di carattere generale che prescindono del tutto dal giudizio su Donald Trump. Il mio non è affatto positivo..anzi!

giovedì 3 novembre 2016

Ecco PERCHE' i giovani non trovano lavoro o... se lo trovano... NON possono che essere SOTTOPAGATI

Da una parte giovani operatori che volevano tenersi stretto il proprio lavoro, sia pure di 900-1.000 euro al mese. Dall’altra gli operatori di Tirana (studenti o giovani alla prima assunzione lavorativa, spesso provenienti dalla provincia) che parlano italiano tanto quanto i lavoratori al di là del mare e che soprattutto – in quelle condizioni, almeno per ora – non si sentono affatto sfruttati.

La riflessione proposta in questo articolo( che riporto di seguito) affronta uno dei più grossi problemi che i giovani italiani,e non solo, hanno di fronte quando si affacciano al mondo del lavoro. Porsi l'obiettivo di come risolvere questo problema e individuare gli strumenti per affrontarlo sposta completamente il terreno delle nostre priorità nella ricerca di un pensiero , una visione e un progetto alternativo e credibile al Pensiero e al sistema economico dominante. Ecco di seguito l'articolo in questione......
Buona Lettura

Per capire la crisi dei call center in Italia bisogna andare in Albania

(di Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore)
su la rivista Internazionale del 30 ottobre 2016

Prima o poi il punto di rottura doveva arrivare. Il colosso dei call center Almaviva annuncia l’esubero di 2.500 lavoratori tra Roma e Napoli, e gli stessi sindacati Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom stimano che “se non risolve la questione entro breve, nel giro di qualche mese ci saranno 70-80mila posti a rischio”.

Insomma la slavina del settore è dietro l’angolo, e il ministro dello sviluppo Carlo Calenda prova a correre ai ripari con la convocazione dei rappresentanti delle aziende committenti dei servizi di call center. Ma per capire come essa si è generata, bisogna decifrare lo schema che si è riprodotto su larga scala negli ultimi anni.

Da una parte si sono intensificate le aste al ribasso per la fornitura dei servizi outbound (chi chiama per proporre offerte e contratti) e inbound (chi riceve telefonate per ascoltare i reclami e risolvere problemi). Per cui i committenti (praticamente tutte le grandi aziende, italiane e non, che ricorrono ai call center per interloquire con i propri utenti) finiscono per strappare prezzi ben al di sotto dei livelli di retribuzione indicati dai contratti nazionali di lavoro. Dall’altra il meccanismo non è stato arginato per tempo, e a quel punto, quando i prezzi scendono sempre di più, la soluzione non è più la flessibilità o il trasferimento dei propri uffici da Roma o Milano in qualche città di provincia meridionale. L’unica soluzione plausibile è la delocalizzazione: chiudere in Italia e aprire in Albania.

I fattori della slavina
Perché poi proprio in Albania (e in misura minore in Romania), è evidente. L’Albania è un paese a poche decine di miglia da noi, sull’altra sponda dell’Adriatico, in cui si parla correntemente l’italiano e in cui le retribuzioni sono molto più basse, benché cresciute negli ultimi anni di risalita economica. Un lavoratore di call center a Tirana guadagna in media 300 euro, al massimo 500 euro al mese. E questo è un posto di lavoro infinitamente più ambito di altri.

Per capire cosa si agita alle spalle della vertenza Almaviva, è utile ricordare un’altra vertenza che ha riguardato un altro colosso dei call center, la multinazionale francese Teleperformance, un paio di anni fa, quando annunciò “di trasferire in Albania un’attività del back office di un importante committente legato al mondo dell’energia, di piano nazionale”, mettendo in quel caso a repentaglio i livelli occupazionali della grande sede di Taranto. Al di là della vertenza contrattuale, e delle strategie adottate in seguito dall’azienda, quella vicenda rivelò appieno il formarsi della slavina, e perché a questo formarsi contribuivano (e tuttora contribuiscono) più fattori.

In quel caso, da una parte c’era la sede di Taranto, che con i suoi tremila dipendenti costituisce un polmone occupazionale importantissimo in un’area che vive la crisi dell’Ilva e ha un esercito imponente di disoccupati e inoccupati (oltre centomila persone, secondo i sindacati). Dall’altra, la sede di Teleperformance Tirana, un palazzone sinistro che sorge nel centro della capitale albanese, alle spalle del Blok, l’ex cittadella del potere staliniano. Si tratta della più grande concentrazione di quei 25mila operatori di call center che, nel “paese di fronte”, lavorano per il mercato italiano, parlando per otto e più ore al giorno in perfetto italiano.

Possiamo offrire la vicinanza geografica dei nostri due paesi e costi di lavoro molto bassi

Tra Taranto e Tirana ci sono duecento chilometri in linea d’aria. In entrambe le sedi, a ridosso del confine dell’Unione europea, ci sono giovani operatori che ogni giorno parlano in italiano con clienti italiani, ascoltando reclami e offrendo promozioni.

Unica differenza: quelli di Tirana sono pagati meno della metà, eppure quei 300 euro al mese (che in alcuni casi, come detto, possono arrivare a 500) costituiscono una cifra ben più alta della retribuzione media di un dipendente pubblico. Per fare un confronto, un alto dirigente in un ministero non guadagna più di 900-1.000 euro al mese. Se questo è il piano inclinato che muove le delocalizzazioni, molto più complesso è il piano sociale e politico intorno alla loro realizzazione.

Perché, se da una parte ci sono i sindacati di categoria Cigl, Cisl e Uil che lamentano come pratiche del genere rendano poi “inevitabile” l’annuncio periodico di esuberi, dall’altra c’è un paese che vuole entrare nell’Unione europea e che per farlo chiede alle aziende occidentali (italiane e non solo) di intensificare la loro presenza in Albania. Lo stesso premier socialista Edi Rama lo ha più volte ribadito:
Quello che abbiamo da offrire è la vicinanza geografica dei nostri due paesi e costi di lavoro molto bassi per le vostre imprese”. Non solo.

A questo va aggiunto l’assenza di sindacati combattivi e una tassazione al 15 per cento, esattamente la soglia che in Italia costituirebbe il sogno fiscale evocato da Matteo Salvini.

Arginare i contratti al ribasso
In quel caso, così come oggi, la frattura tra lavoratori era netta. Da una parte c’erano gli operatori di Taranto, che volevano tenersi stretto il proprio lavoro, sia pure di 900-1.000 euro al mese. Dall’altra gli operatori di Tirana (studenti o giovani alla prima assunzione lavorativa, spesso provenienti dalla provincia) che parlano italiano tanto quanto i lavoratori al di là del mare e che soprattutto – in quelle condizioni, almeno per ora – non si sentono affatto sfruttati. Nel mezzo si sta costruendo un nuovo scenario adriatico, con aspettative e ambizioni diverse, non solo intorno al mondo del lavoro.

Per questo, il punto, ben oltre la stessa pratica della delocalizzazione, e dei vantaggi economici che essa offre, è in realtà un altro. Valeva per il caso Teleperformance, vale per la slavina preannunciata dagli esuberi di Almaviva: come far parlare tra loro i lavoratori delle due sponde dell’Adriatico? È possibile pensare a una strategia sindacale, e politica, che includa i diritti e le richieste di entrambe le parti? È possibile parlare la stessa lingua?

È possibile, soprattutto, che da un comune riconoscersi tra lavoratori così simili e così distanti possa scaturire un argine alle aste al ribasso? In caso contrario, ogni sanzione varata dall’alto, ogni “tolleranza zero” evocata contro le delocalizzazioni, rischia di apparire un’arma spuntata.

domenica 30 ottobre 2016

TUTTI GLI ESSERI UMANI HANNO IL DIRITTO DI ESSERE FELICI

"Io credo, sono fermamente convinto che abbiamo bisogno di questi tempi di una voce ,più voci, tantissime voci, che dovrebbero risuonare nella testa di tutti noi,ripetendoci queste semplicissime cose:

Tutti gli esseri umani sono uguali,tutti gli esseri umani hanno gli stessi diritti.

Nessun essere umano può sfruttare gli altri esseri umani.

Tutti gli esseri umani devono vere le stesse possibilità.

E soprattutto: #felicità
TUTTI gli esseri umani hanno il diritto di essere FELICI"
(da Il Comunismo spiegato ai Bambini)

martedì 25 ottobre 2016

#Gorino - Barricate e Immigrati. Razzismo o frutto avvelenato della Politica della Paura? una punto di vista diverso.Che ne pensate?

L'episodio raccapricciante di Gorino e le barricate dei cittadini contro l'accoglimento di 10 donne(una incinta) e 8 bambini cosa ci dice? Siamo di fronte al Razzismo cinico dell'Emilia profonda o di fronte al frutto avvelenato del decennale lavoro intenso e cinico di media e politica? Questa intervista a Quadruppan di qualche mese fa forse ci aiuta a capire meglio. Di seguito l'intervista (dedicate 2 minuti del vostro tempo a leggerla)_________________________________________________________________________________________________________________ Sagarana LA POLITICA DELLA PAURA _________________________________________ Un’intervista a Serge Quadruppanii. “La sola cosa che gli resta da fare è manipolare le paure”. Mikaël Chambru ____________________________________________ LA POLITICA DELLA PAURA
Il 5 aprile scorso, Serge Quadrupani era invitato dall'Università di Savoia a presentare il suo ultimo saggio, La Politique de la peur, in una conferenza a Chambéry.
Romanziere, traduttore, saggista e giornalista, ha per molto tempo comparato le diverse leggi sicuritarie e antiterroristiche adottate dagli Stati all'indomani dell'11 settembre 2001. E il risultato che ha presentato agli universitari savoiardi ha dell'inquietante. La nostra società sarebbe sempre più sicuritaria, diffidente e ripiegata su se stessa, al punto che i cittadini oggi rinunciano poco a poco alle loro libertà in cambio di una ipotetica tranquillità. Serge Quadruppani chiama in causa la politica della paura condotta tanto dai governi di destra quanto da quelli di sinistra. Abbiamo dunque voluto saperne di più su questa politica della fifa.
Nel suo saggio, Lei spiega che il punto di svolta della politica della paura è stato l'11 settembre...
A partire da questa data, è diventato possibile ogni genere di atteggiamento all'ombra della bandiera unica della guerra di civiltà. La via araba ci veniva costantemente presentata come un brodo di coltura islamista senza alternativa. Secondo i governi, bisognava proteggerci per mezzo di leggi sicuritarie e antiterroristiche. Soprattutto, bisognava proteggere quello che io chiamo “l'impero”: questo insieme di potenze mondiali che costituisce un equilibrio di potere estremamente variabile, ma che ha come obiettivo il mantenimento di un certo tipo di civilizzazione, della quale la politica della paura è una delle fondamenta su cui si appoggia. Nelle rivoluzioni egiziana e tunisina c'è qualcosa di magnifico: noi non abbiamo visto l'ombra di un islamista. Così, tutto quel discorso che portava a sostenere dei despoti in nome della lotta contro l'islamismo e il demonio Al-Qaeda oggi è del tutto crollato. Le rivoluzioni arabe inaugurano un nuovo periodo, l'anti-11 settembre. Ci troviamo di fronte a un rovesciamento geopolitico che rimette in questione il modo di dominazione dell'impero.
È però vero che in Francia non si ha l'impressione di essere entrati in un nuovo periodo, come testimoniano le polemiche quasi quotidiane sull'Islam lanciate dal governo...
Le strategie del potere non mutano: è la ricerca perenne di nemici all'interno per giustificare la loro politica della paura. Questo nemico interno è sempre l'immigrato, salvo che lo si chiama “il mussulmano”. In realtà l'intero discorso sulla laicità non è altro che un nuovo modo di fare la guerra agli immigrati. È la sola cosa che quelli che governano sono ancora capaci di fare: la totalità della classe politica è costituita da incaricati delle oligarchie mondializzate, incapaci di influenzare in qualunque modo il corso delle cose a livello macro-economico. La sola cosa che gli resta da fare per continuare a governare è manipolare la paura.
Quindi oggi i nuovi nemici interni sono i mussulmani?
C'è oggi, in tutta evidenza, una volontà di individuare nei mussulmani dei nemici sui quali far convergere tutte le paure della popolazione che raggiunge un livello fantasmatico inverosimile! Tempo fa, ad esempio, ero in un piccolo paese di Dordogna, dove non c'era un solo arabo nel raggio di trenta kilometri. E lì, a pranzo, accade una specie di scatenamento fantasmatico a proposito degli arabi: una signora mi spiega che nessuno la obbligherà a mettere il velo. È una follia, una completa inversione della realtà! Lo Stato pretende che le donne si tolgano il velo, ed ecco che secondo la percezione popolare si vorrebbero obbligare tutte le donne a velarsi.
E alla fine il Fronte Nazionale raggiunge delle percentuali importanti alle ultime elezioni cantonali... Ci sono un sacco di paesi del tutto privi di immigrati: ciò nonostante, la gente vota in massa per l'estrema destra. È il segno d'un forte malessere della nostra società, che si esprime come può. Quando si esprime bene, ci sono dei movimenti sociali; quando si esprime male, ci sono fenomeni elettorali come quelli di Le Pen.
Quindi esiste, secondo lei, un nesso tra la gente che manifesta nelle strade e gli elettori del Fronte Nazionale?
Sì, è possibile che siano le stesse persone. Le persone sono molto incerte. Ad esempio, i miei amici di Dordogna si dicono tutti più o meno di sinistra; alcuni di loro hanno partecipato a grandi lotte operaie, scontrandosi con le forze dell'ordine. Premesso ciò, si tratta di un fenomeno completamente manipolato dal punto di vista mediatico e politico per ragioni bassamente elettorali riferite alle elezioni del 2012. Tuttavia io non sono disposto a scendere in strada a braccetto col Partito Socialista per ostacolare la crescita del fascismo, perché la sinistra istituzionale è animata dalle stesse logiche della destra: la politica della paura.
È proprio quello che lei mostra nel suo libro: le leggi securitarie e antiterroristiche non sono fatte solo dalla destra...
La prima legge, la Legge della sicurezza quotidiana è stata elaborata durante il governo Jospin [in carica nel 1997-2002, sostenuto da una maggioranza formata dal Partito Socialista, Partito Comunista Francese, Partito Radicale di Sinistra, Verdi e Movimento dei Cittadini (n.d.t.)], e mescolava già la lotta al terrorismo, la lotta contro le adunanze di ragazzi negli atrii dei palazzi, contro i rave-party, ecc. Questa legge dava l'inizio a qualcosa che ha continuato ininterrottamente: una serie di leggi securitarie nelle quali si mescolano tutti i nemici, che siano terroristi, folli, ragazzi, giovani, immigrati. E questa prima legge non è stata approvata dalla destra, ma dalla sinistra!
A parte le leggi, ci sono altri esempi di strumenti utilizzati per condurre questa politica della paura?
Ad esempio, c'è questo delirio sulle bandiere nazionali francesi, bruciare le quali è diventato un delitto. Persino negli Stati Uniti, un paese molto più patriottico della Francia, la Corte Suprema ha riconosciuto il diritto di bruciare la bandiera: è un diritto costituzionale, un diritto di espressione. E invece in Francia ci sono dei deputati che si sono messi in testa la sacralità della bandiera francese. Ma cos'è la patria francese, al giorno d'oggi? Al giorno d'oggi, il fantasma della patria serve solo a dei piccoli manipolatori politici, e le conseguenze pesano sulle spalle dei più poveri e dei più indifesi, di quelli che sono al più basso livello della scala sociale. E così a ritrovarsi in prigione saranno i quattro ragazzi che avranno bruciato una bandiera, e che pagheranno il bisogno delirante di farsi avanti di qualche politico.
E anche in questo caso la sinistra non è migliore della destra?
È evidente! Basta ricordarsi di quell'imbecille di Ségolène Royal che alle ultime elezioni presidenziali spiegava, quando le si domandava cos'è la Francia, che sarebbe bene che tutti i francesi appendano il drappo tricolore alle finestre, piuttosto che dire che la Francia è «libertà, uguaglianza, fraternità». Dire questo sarebbe stato davvero di sinistra e repubblicano. Non è nulla di straordinario: è il motto della nazione francese, no? E invece non è più così. Questa sinistra, questa sinistra istituzionale ha perso un'altra occasione. È qualcosa che va al di là del ridicolo!
Ma questo attaccamento alla nazione francese fa parte della storia della sinistra...
In effetti non è qualcosa di nuovo. Il socialismo riformista, Partito comunista compreso, ha accompagnato la contro-rivoluzione liberale degli anni Ottanta. All'epoca, il PC si è distinto facendo all'occasione un discorso nazionalista, comportandosi come se il nazionalismo fosse un baluardo contro l'invasione del neoliberalismo... ma in fondo si tratta di una posizione totalmente reazionaria, perché non si cambia il mondo ripiegandosi sulle piccole patrie cercando di ricreare il socialismo in un solo paese: non è così che vanno le cose. Al giorno d'oggi, la cosa interessante è che le questioni si pongono a livello mondiale. Ad esempio, ciò che sta accadendo in Giappone rimette in causa il nucleare in Francia.
Torniamo al suo saggio. Usare la leva della paura non è un metodo arcaico, nel senso in cui la ritroviamo già nella società feudale? Qual è la differenza tra quella e la società attuale?
La differenza è nello sviluppo delle tecniche di controllo, che oggi si attaccano molto di più a tutti i piccoli dettagli delle nostre vite. Nelle società feudali il signore aveva un certo potere sui servi, e di tanto in tanto c'erano dei supplizi atroci e spettacolari. Ma le comunità locali, anche se sottoposte al controllo del curato, avevano una certa libertà all'interno dei limiti del regime feudale. C'era una certa dose di autonomia nella vita quotidiana. Oggi ogni nostro gesto può essere ascoltato o registrato, e lascia una traccia: viviamo all'interno del fantasma della tracciabilità assoluta di tutti gli esseri umani.
Dunque l'innovazione tecnologica contribuisce al rafforzamento di questa politica della paura?
Senz'altro. Guardiamo alla Tunisia, dove la politica della paura regnava in modo assoluto. Un regime super-sbirresco molto efficiente: delatori dappertutto, squadroni della morte, pratiche mafiose. C'erano arresti, processi, gente a cui veniva spaccata la faccia da sconosciuti per ragioni politiche. Per contro, per quanto crescesse l'accumulazione di queste tecniche di dominio, non è stato possibile impedire la rivolta contro l'ingiustizia, né annichilire il desiderio di libertà. Ciò dimostra che l'uso delle tecnologie di dominio può sfuggire dalle mani dei dominatori per essere riappropriato e utilizzato per l'emancipazione. Ciò detto, c'è un momento in cui i corpi reali devono pur scendere nelle strade reali per vincere la paura: è in questi momenti che il gioco si fa duro. Non è la tecnica in sé che permette l'emancipazione: può essere uno strumento. Ma per realizzare questo ci vuole una volontà di emancipazione collettiva. Ma nel suo libro lei spiega che nella situazione odierna noi saremmo dei “little brothers”, una situazione peggiore, secondo lei, del “big brother” immaginato da Orwell...
Oggi si cerca di fare di ciascuno il sorvegliante dell'altro, le funzioni di dominio sono più sottili. E il problema è che la proliferazione di tecniche di sorveglianza sfugge ad ogni controllo, compreso quello del potere politico e degli Stati. L'esempio degli schedari, che io applico nel mio libro, è un buon esempio di ciò. La logica degli schedari fa sì che questi crescano da soli, senza alcun bisogno di una volontà politica sottostante, a dispetto dei tentativi di regolamentarli giuridicamente: a forza di interconnessioni, e per il fatto che l'accesso agli schedari diventa sempre più incontrollato per via della privatizzazione della sicurezza, non c'è più alcuno che li controlli. Sono fenomeni che acquistano una propria autonomia. La sola cosa che potrebbe fare un movimento di emancipazione sarebbe distruggerli tutti senza pensarci su un momento. Ci sono delle realizzazioni dello spirito umano che hanno un solo destino: sparire il più velocemente possibile dalla faccia della terra.
A darle ascolto, c'è da diventare fatalisti. A cosa può portarci questa politica della paura?
Io non sono né pessimista, né ottimista: io osservo. Nella nostra società ci sono tendenze e contro-tendenze. Però una cosa è certa: io penso che non accettare l'insopportabile sia qualcosa che è nel profondo di ciascuno di noi. Nulla è ineluttabile, soprattuto perché i movimenti collettivi sono capaci di creazioni che ci sorprendono sempre. In ogni caso, la società industriale capitalista sta conducendo il pianeta alla rovina in un periodo di media durata, e solo una trasformazione davvero importante può permetterci di uscirne.
Totalitarismo o democrazia?
A partire da qui, tutto è possibile: il fascismo verde associato a una decrescita governata dall'oligarchia, o una società più libera e più democratica. In realtà l'avvenire appartiene ai movimenti sociali, e uno dei loro primi compiti sarà quello di sbarazzarsi dell'influenza di questi partiti detti di sinistra. Bisogna che i movimenti sociali abbiano l'audacia di credere che si vuole davvero cambiare il mondo. L'ostacolo principale è dentro di noi: bisogna liberare il nostro immaginario per costruire un nuovo immaginario della rivoluzione. _______________________________________________________________________________________________________________________________________________ Questa intervista è stata pubblicata su “La Voix des Allobroges” l'8 aprile scorso. La traduzione è di G. De Michele. _________________________________________________________________________________________________________________________ Serge Quadruppani (La Crau, 1952) è uno scrittore francese. Attivista e militante della sinistra libertaria, traduttore, giornalista ed editor letterario ma, soprattutto, autore di numerosi romanzi noir e polizieschi. Scrive sulla rivista Le Monde diplomatique e sul settimanale di fumetti e satira Siné Hebd

sabato 22 ottobre 2016

DISOBBEDIENZA

Questo post è solo un omaggio al grande Oscar Wilde.
La DISOBBEDIENZA, per chiunque conosce la storia, è la virtù originale dell'uomo. Con la disobbedienza il progresso è stato realizzato; con la disobbedienza e la RIVOLTA. (Oscar Wilde)----- Il tema fondamentale sul quale proverò ad esprimermi nei prossimi giorni e che è alla base della necessità di questo blog è costruire ed approfondire "Un punto di vista diverso.Per provare ad uscire fuori dal coro del Pensiero Unico"